Un po’ di anni fa ho fatto una vacanza in Kenya, forse una delle più belle vacanze della mia vita. Non solo per le bellezze naturali di questo splendido angolo di mondo, la fauna ancora ricchissima nonostante l’industria del bracconaggio, le spiagge da sogno, il cibo semplice e genuino, ma per il calore e la franchezza dei suoi abitanti, il modo diretto ma gentile, sono ancora tutti un po’ bambini, ancora incontaminati dal dio Denaro e dal discutibile progresso del mondo occidentale, cosiddetto sviluppato…. Alloggiavo in un bellissimo resort con spiaggia privata sorvegliata dalle guardie, ma in spiaggia, vicino al mio ombrellone, tutti i giorni veniva una bellissima ragazza alta, robusta, vestita con il tradizionale abito africano che esaltava la sua bella carnagione color ebano e il suo sguardo sorridente e sereno. Si portava insieme i tre figlioli, il più piccolo, di appena qualche mese, legato al corpo della mamma nel tipico modo delle donne africane, l’altro di 2-3 anni per mano e il più grande di 4-5 che la seguiva. Sulla testa portava una cesta di frutta che vendeva e da qualche piega del suo abito tirava fuori dei braccialetti e collane di conchiglie. Mi facevano tenerezza lei e i suoi bambolotti, tutti i giorni compravo qualcosa, quindi lei mi cercava e abbiamo stretto amicizia. Si chiamava Inoke e mi ha dato una grande lezione di vita che non dimenticherò. Un giorno, prima di andare via, le avevo detto che la mia vacanza era finita e non mi avrebbe più trovata, quindi lei mi invitò a casa sua, in un villaggio non lontano dal nostro resort. Contrariamente ai consigli dei gestori dell’albergo, andai con lei. Il villaggio era distante cca mezz’ora di camminata ed era fatto di capanne di terra con i tetti di foglie di banano, la terra rossa africana era l’unico pavimento, vicino alla casetta pascolava una capretta e razzolavano le galline. Lei mi condusse alla sua capanna, mi fece entrare e, fiera, mi disse: “Questa è casa mia, sono felice perchè ho tutto, non mi manca niente, posso allevare bene i miei bambini e badare a me stessa.” All’interno della capanna c’era una stuoia di fibra vegetale che serviva da letto per tutti e quattro, alcuni indumenti appesi a due chiodi e un pentolone su un tripode costituiva l’angolo cucina. Mi fece sedere sulla stuoia, mi diede da bere in un bicchiere ricavato da una bottiglia di plastica tagliata, chiamò le sue amiche del villaggio per fare vedere l’europea che è venuta ospite. Mi mostrò fiera la sua casa, la stuoia pulita per dormire, il pentolone, le galline, la capretta, e mi disse che lei era contenta perchè aveva tutto, non le mancava nulla, era rispettata dalla comunità ed era felice. Dopo cca un’ora ritornai all’hotel con la scala dei valori completamente cambiata. Casa mia, senza essere una residenza di lusso, potrebbe sembrarlo nel villaggio di Inoke, il mio armadio dell’IKEA che non si chiude più è decisamente diverso dai due chiodi dove Inoke appendeva le sue cose, la mia cucina, per quanto modesta, potrebbe essere il massimo del lusso e della tecnologia per lei, tutta la mia vita e tutte le mie povere cose sono il non plus ultra per una persona come lei…. Ma, a differenza di me, lei era felice, contenta della sua vita, con il sorriso sincero e lo sguardo luminoso aperto sul mondo, lei si svegliava ogni mattina sorridendo al mondo e andava in chiesa a cantare tutte le domeniche  serena. Le sue parole mi sembra di sentirle ancora: “Sono contenta perchè ho tutto, non mi manca niente. Sto bene, sono felice con i miei figli”……. Sono passati un po’ di anni da allora. Ogni tanto, in mezzo all’affanno del lavoro, delle tasse, del mutuo da pagare, mi torna in mente Inoke.

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